Dopo i re Davide e Salomone, il declino della nazione d’Israele ha avuto
fasi diverse. Il regno si è diviso in due, si è sprofondato
nell’idolatria e ha perso dieci delle sue dodici tribù. Ciononostante,
Dio ha preservato un rimanente fedele che non si è lasciato
travolgere dalla rovina generalizzata, come abbiamo visto nelle storie
di Simeone e Anna.
Ora, nel capitolo 3 del Vangelo di Luca, entra in scena Giovanni Battista, “la voce di uno che grida nel deserto”,
ed è proprio così che Israele viene visto qui: un deserto morale,
dominato dal nemico. Infatti, il primo versetto ci spiega chiaramente
che il popolo è sotto il dominio dell’imperatore romano Tiberio Cesare,
e governato localmente da Ponzio Pilato, Erode, Filippo e Lisania, una
squadra fatta di scorie umane.
Qualcuno potrebbe anche sostenere che le cose erano migliorate rispetto
agli anni dell’idolatria, giacché il tempio era stato ricostruito,
l’ordine sacerdotale ristabilito e gli idoli banditi dal culto giudaico.
Tuttavia, purtroppo, questa era soltanto apparenza:
il tempio era stato ricostruito dall’iniquo Erode, il Grande; c’erano
due sommi sacerdoti, Anna e Caifa, al posto di un unico sacerdote, come
sarebbe stato il modo corretto; e, inoltre, l’idolatria continuava a
esistere. L’idolo del momento, però, non era
fatto di pietra, legno o argilla, ma era l’avidità, mascherata da
religiosità.
Nel primo capitolo del libro del profeta Isaia, quando Dio descrive la deplorevole condizione del popolo, li chiama “razza di malfattori, figli che operano perversamente… capi di Sodoma… popolo di Gomorra…”. E dopo aver descritto nei dettagli l’iniquità
in cui erano sprofondati e l’apparenza di pietà dei loro rituali, Dio conclude: “Non posso sopportare… l'iniquità assieme alle riunioni sacre” (Isaia 1:4-13).
Dio non è cambiato, e nemmeno l’uomo. Oggi vediamo la cristianità in uno
stato simile a quello di Israele. Si è divisa e si è venduta al
dominatore straniero, il principe di questo mondo. Nella sua brama di
prosperità e potere, costruisce lussuosi templi e
cattedrali, nel vano tentativo di dare una facciata di santità
all’avidità. Nell’Apocalisse, la cristianità è chiamata Babilonia, la
prostituta, per aver fornicato con i governanti e i mercanti del mondo
in cambio di favori (Apocalisse 18:3).
Eppure, Dio continua ad avvertire: “Io non posso portare iniquità, e festa solenne insieme” (Isaia 1:13), ed aggiunge: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non abbiate parte ai suoi peccati” (Apocalisse 18:4).
Nei prossimi 3 minuti alcuni ascolteranno il grido di Giovanni Battista e saranno spinti al pentimento.
Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)