#335 – Una voce nel deserto – Luca 3:1-2

Dopo i re Davide e Salomone, il declino della nazione d’Israele ha avuto fasi diverse. Il regno si è diviso in due, si è sprofondato nell’idolatria e ha perso dieci delle sue dodici tribù. Ciononostante, Dio ha preservato un rimanente fedele che non si è lasciato travolgere dalla rovina generalizzata, come abbiamo visto nelle storie di Simeone e Anna.

Ora, nel capitolo 3 del Vangelo di Luca, entra in scena Giovanni Battista, “la voce di uno che grida nel deserto”, ed è proprio così che Israele viene visto qui: un deserto morale, dominato dal nemico. Infatti, il primo versetto ci spiega chiaramente che il popolo è sotto il dominio dell’imperatore romano Tiberio Cesare, e governato localmente da Ponzio Pilato, Erode, Filippo e Lisania, una squadra fatta di scorie umane.

Qualcuno potrebbe anche sostenere che le cose erano migliorate rispetto agli anni dell’idolatria, giacché il tempio era stato ricostruito, l’ordine sacerdotale ristabilito e gli idoli banditi dal culto giudaico. Tuttavia, purtroppo, questa era soltanto apparenza: il tempio era stato ricostruito dall’iniquo Erode, il Grande; c’erano due sommi sacerdoti, Anna e Caifa, al posto di un unico sacerdote, come sarebbe stato il modo corretto; e, inoltre, l’idolatria continuava a esistere. L’idolo del momento, però, non era fatto di pietra, legno o argilla, ma era l’avidità, mascherata da religiosità.

Nel primo capitolo del libro del profeta Isaia, quando Dio descrive la deplorevole condizione del popolo, li chiama “razza di malfattori, figli che operano perversamente… capi di Sodoma… popolo di Gomorra…”. E dopo aver descritto nei dettagli l’iniquità in cui erano sprofondati e l’apparenza di pietà dei loro rituali, Dio conclude: “Non posso sopportare… l'iniquità assieme alle riunioni sacre” (Isaia 1:4-13).

Dio non è cambiato, e nemmeno l’uomo. Oggi vediamo la cristianità in uno stato simile a quello di Israele. Si è divisa e si è venduta al dominatore straniero, il principe di questo mondo. Nella sua brama di prosperità e potere, costruisce lussuosi templi e cattedrali, nel vano tentativo di dare una facciata di santità all’avidità. Nell’Apocalisse, la cristianità è chiamata Babilonia, la prostituta, per aver fornicato con i governanti e i mercanti del mondo in cambio di favori (Apocalisse 18:3).

Eppure, Dio continua ad avvertire: “Io non posso portare iniquità, e festa solenne insieme” (Isaia 1:13), ed aggiunge: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non abbiate parte ai suoi peccati” (Apocalisse 18:4).

Nei prossimi 3 minuti alcuni ascolteranno il grido di Giovanni Battista e saranno spinti al pentimento.
Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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