Quando
incontrano un uomo cieco fin dalla nascita, i discepoli di Gesù cercano di identificare la
causa del suo problema, e sbagliano nel
momento in cui sollevano soltanto due possibilità. Gli domandano: “Maestro,
chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia
nato cieco?” (Giovanni 9:2).
L’origine di un fiume è la
sua sorgente, però la ragione per
cui scorre in un determinato luogo piuttosto che in un altro dipenderà
da diversi fattori. Analogamente, sarà facile capire che l’origine di
ogni sofferenza sia il peccato,
il quale ha rovinato l’intera creazione, ma non è così semplice
scoprire perché
uno soffre e l’altro no.
Nonostante ci siano dei problemi che
sono il risultato diretto dei nostri errori, come ad esempio
quando ci si scontra contro un lampione in conseguenza della guida in stato di ebbrezza, occorre
cautela prima d’incolpare qualcuno
per qualche suo difetto, malattia o
disgrazia. Tutte le volte che veniamo a contatto con persone sofferenti,
tendiamo a comportarci come quei tre amici che
sono andati a trovare Giobbe durante il periodo della
sua sciagura: stavano andando alla grande finché non hanno deciso di aprire bocca.
L’interpretazione
data dai tre amici rispetto alle calamità
capitate a Giobbe, riportate nel libro omonimo, non rappresenta la
sapienza di Dio ma quella umana. Nella
prima lettera ai Corinzi leggiamo che “il mondo non ha conosciuto Dio
mediante la propria sapienza” (1 Corinzi 1:21); quindi, il metodo usato da Elifaz, Bildad e Zofar non serve
per discernere il motivo del patimento altrui.
Elifaz parla della
sua esperienza personale e individuale. Nel capitolo 4 del libro di Giobbe dice: “Come io stesso ho
visto... ” (Giobbe 4:8). Bildad, l’altro amico, fa appello alla tradizione poiché afferma: “Interroga quindi le generazioni passate e considera
le cose scoperte dai
loro padri... ” (Giobbe 8:8). Nel capitolo 11
tocca a Zofar presentare il suo argomento religioso e legalistico, mentre dichiara a Giobbe: “Se
tu disponi il tuo cuore e stendi verso di lui le tue mani, se allontani l'iniquità che è nelle tue mani e non permetti alla perversità di abitare nelle
tue tende... ”
(Giobbe 11:13-14), tutto ti andrà bene.
Siamo proprio così: giudichiamo le persone dalla nostra
esperienza, dalle nostre tradizioni e dalla religione, e ne deduciamo che, se qualcuno soffre, è
per aver fallito in uno o più di questi tre punti.
Naturalmente questo tipo di giudizio ci fa sentire superiori a coloro che patiscono, e il nostro messaggio a loro, in realtà, sarà stato: “Sii quel che
sono io, fai come faccio io, vivi come
vivo io, e non soffrirai”. Ma, parafrasando Giuseppe, figlio di Giacobbe, direi: “Sono
io forse al posto di Dio?”
(Genesi 50:19).
Nella
sua lettera ai Romani, Paolo scrive: “O profondità di ricchezze, di sapienza e di conoscenza di Dio!
Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e inesplorabili le sue vie!
Chi infatti ha conosciuto la mente del Signore?”
(Romani 11:33-34). Già, né tu né io siamo in
grado di comprendere i motivi e le ragioni di Dio. La cosa migliore da fare è non andare in
giro distribuendo i propri “verdetti” sulla
causa del dolore di ciascuno di noi.
Quando
i discepoli chiedono se il cieco sia nato così in conseguenza di qualche peccato commesso da lui o dai suoi genitori, Gesù gli risponde:
“Né lui ha peccato, né i suoi genitori” (Giovanni
9:3). Allora, come mai è nato cieco? Troveremo la risposta nei prossimi 3 minuti.
Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)