#206 - Eternamente sicuri - Giovanni 10:22-42

Osservate bene il versetto 22 di questo capitolo 10: “Si celebrava allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione, ed era inverno.. Una scena invernale ben si addice a descrivere la freddezza con cui il Messia viene di continuo trattato dal suo proprio popolo.


Un po’ più avanti, nel capitolo 13 di questo stesso vangelo, troviamo Gesù che dà a Giuda un boccone di pane intinto nel vino, prima ancora dell’ultima cena con i suoi apostoli. Lì c’è scritto: “Egli (Giuda) dunque, preso il boccone, uscì subito; ed era notte.” (Giovanni 13:30). È inverno quando i giudei rifiutano il loro Messia; sarà notte quando lo consegneranno alla morte.


Loro allora lo interrogano un’altra volta nel Tempio di Gerusalemme: “Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente’. Gesù rispose loro: ‘Ve l'ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me; ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore’. (Giovanni 10:24-26).


Così, il vero Pastore continua a spiegargli: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno.’ I Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo. (Giovanni 10:27-31).


E guarda solo quante precisazioni ci sono in queste sue parole: le pecore sanno discernere la voce del Pastore; lui le conosce a una a una; ricevono da lui la vita eterna; non periranno mai; nessuno le può togliere dalle mani di Gesù che le ha ricevute dal Padre; nessuno le può strappare dalle mani del Padre; infine, Gesù e il Padre sono uno.


Qui ci è stato chiaramente detto che riceviamo la vita eterna da Gesù, perché non ce l’abbiamo da noi stessi. E non si tratta soltanto di una vita che non finisce; essendo eterna, è anche una vita che non ha inizio. È la vita di Gesù, il Figlio eterno di Dio. Questa è la garanzia interiore: credendo in Gesù riceviamo in noi una vita che non perderemo mai più, altrimenti non sarebbe eterna.


In seguito c’è pure la doppia garanzia contro le minacce esterne: nessuno può rapire una pecora né dalle mani di Gesù, né dalle mani del Padre. È stato il Padre che le ha date al Figlio, perciò nessuna di esse andrà perduta. “Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. (1 Giovanni 5:12).


Le pecore che il lupo può rapire sono solamente quelle che non hanno Gesù come loro Pastore. Per questo ci avverte: “Il mercenario, che non è pastore e a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore. (Giovanni 10:12).


Nei prossimi 3 minuti Gesù non guarirà un malato, anzi aspetterà che tale persona muoia per poi andare a trovarla.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#205 - Il potere di dare la vita - Giovanni 10:16-21

Facendo una retrospettiva degli eventi di questo capitolo, Gesù, il vero Pastore, entra per la porta nell’ovile, “chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori” (Giovanni 10:3). Esse sentono la sua voce e lo seguono. Subito dopo lui stesso dice che il buon Pastore dà la sua vita per le pecore.


Nel versetto 16 Gesù ci rivela: “Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.”. Qui ci parla dei gentili che trarrebbero beneficio dalla sua morte. Quindi, d’ora in poi, non si tratterà più di un ovile, ma di un solo gregge. Un ovile è costituito da recinzioni, muri e cancelli per tenere insieme le pecore. Un gregge ha soltanto bisogno del Pastore.


La morte di Gesù avrebbe cambiato tutto. L’ovile di Israele sarebbe stato messo da parte e Dio stenderebbe la sua grazia per salvare chiunque, giudeo o gentile. E qua perfino il motivo dell’amore del Padre per il Figlio ci è svelato: “Per questo mi ama il Padre, perché io depongo la mia vita per prenderla di nuovo.” (Giovanni 10:17).


Gesù, con la sua morte, ha glorificato Dio in tutti gli aspetti. Anche se nessuno fosse stato salvato, lui l’avrebbe comunque glorificato essendo l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, risolvendo la questione del peccato che ha macchiato la creazione. Gesù però è pure il Salvatore dei peccatori, poiché salva individualmente tutti quelli che il Padre gli dà, i quali crederanno in lui e nella sufficienza della sua morte sostitutiva.


E a questo punto c’è ancora un’altra verità messa in luce, che pone fine a qualsiasi speculazione di chi cerca d’individuare la causa fisica della morte di Cristo. Alcuni vogliono dimostrare che è stata una morte per asfissia, altri per collasso dovuto alla flagellazione subita, oppure in conseguenza della lancia del soldato romano, che tuttavia è stata conficcata in un corpo già morto. Gesù stesso ci spiega la causa della sua morte:


Io depongo la mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me stesso; io ho il potere di deporla e il potere di prenderla di nuovo; questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio. (Giovanni 10:17-18).


Nessun essere umano ha il potere di deporre la propria vita. Potresti magari decidere di morire per salvare un amico, ma ci sarebbe sempre una causa esterna a provocare tale morte. Nemmeno un suicida è capace di dare la sua vita: dovrà uccidere se stesso. Quando Gesù dichiara “io depongo”, usa il verbo alla prima persona singolare, indicandoci l’atto di morire e di consegnare il suo spirito senza una causa esterna. Ha ricevuto questo potere per compiere un ordine dato dal Padre.


Luca ci descrive come l’ha fatto, mentre era sulla croce: “Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio.’ Detto questo, spirò. (Luca 23:46). Le affermazioni di Gesù risultavano così radicali che alcuni giudei dicevano che erano parole di un indemoniato.


Nei prossimi 3 minuti troveremo Gesù in un tipico scenario invernale.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#204 - I falsi pastori - Giovanni 10:1-15

Nei tre Salmi degli ultimi tre messaggi abbiamo conosciuto il vero Pastore, che è morto, è stato risuscitato e che tornerà. Gesù, in questo capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, è il legittimo Pastore, il quale entra per la porta nell’ovile.


I farisei che gli resistono sono chiamati ladri e briganti. Il loro intento è di tenere il gregge rinchiuso, sfruttandolo a proprio vantaggio. Quando qualcuno decide di seguire Gesù, come ha fatto il cieco dopo essere stato guarito, tale persona è espulsa e perseguitata dai falsi pastori.


Contrariamente al vero Pastore, il quale precede le sue pecore che gli vanno dietro in modo spontaneo, i falsi pastori le fanno avanzare a forza di spinte, come è consuetudine per il bestiame. Le caricano di regole, “pesi difficili da portare”, che loro stessi non sono in grado di reggere (Luca 11:46).


Le loro pecore non li seguono per gratitudine, dopo esser state salvate e liberate dai loro peccati, ma per paura di essere punite, com’è successo ai genitori del cieco guarito. Non sono attratte dalla voce del vero Pastore, anzi sono imprigionate dal terrore delle minacce fatte da queste false guide.


Una pecora di Gesù sa che il suo Pastore non la condurrà per una strada che lui stesso non abbia già percorso. La sua sensazione non è di prigionia, però di libertà. Infatti, Gesù ci promette: “Se uno entra per me, sarà salvato; entrerà e uscirà, e troverà pastura... io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.” (Giovanni 10:9-10).


Inoltre, una pecora di Gesù non lo diventa perché lo segue. Lei lo segue poiché è già una sua pecora, con una nuova natura che ha ricevuto quando è nata di nuovo (Giovanni 3:3-8). E Dio le dà la capacità di discernere la voce del vero Pastore e di fuggire dal falso. Le pecore di Gesù “lo seguono perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei.” (Giovanni 10:4-5).


La differenza tra Gesù e i falsi pastori è che lui, essendo ricco, si è fatto povero per amore delle sue pecore (2 Corinzi 8:9). Ha dato tutto per loro, compresa la propria vita, senza chiedere nulla in cambio. Invece i falsi pastori, essendo poveri, vogliono arricchirsi a spese delle pecore. Pertanto, in questo capitolo, sono chiamati mercenari.


Il vocabolario definisce il termine “mercenario” come qualcuno che opera al solo fine del guadagno. Nella seconda epistola di Timoteo, capitolo tre, incontriamo la condizione della cristianità negli ultimi giorni, cioè oggi. Lì vediamo uomini amanti di se stessi e avari, come lo sono stati Ianne e Iambre, i maghi del faraone d’Egitto, i quali imitavano i miracoli che Dio compiva attraverso Mosè. L’avaro è ossessionato dal denaro.


Nei prossimi 3 minuti Gesù consegnerà qualcosa che nessuno potrebbe mai portargli via. E lo farà di sua libera e spontanea volontà.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#203 - Il Pastore regna - Salmo 24

Dopo esserci occupati del “buon Pastore” del Salmo 22, il quale dà la sua vita per le sue pecore, e del “grande Pastore” del Salmo 23, che pasce le sue pecore, arriviamo al Salmo 24. Qui il “supremo Pastore” stabilisce il suo regno sulla terra. Lo stesso Gesù che è morto e risorto, sarà colui che tornerà affinché prenda possesso di ciò che è suo.


Quando Cristo farà ritorno in questo mondo, regnerà per mille anni sul suo popolo terreno, cioè Israele. Allora la Chiesa, ossia il popolo celeste che il Signore sta riunendo in un solo corpo nel nostro periodo della grazia, ritornerà con lui perché regnino insieme sulle nazioni.


Il Salmo 24 ci dice che la terra è sua, poiché l’ha fatta lui. Nel primo capitolo del Vangelo di Giovanni, riferendosi a Gesù, l’evangelista scrive: “Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta. (Giovanni 1:3). In tale Salmo colui che è chiamato il “Re di gloria” è lo stesso che ha creato il mondo e ha assunto forma umana per morire su di una croce e poi risuscitare.


Infatti, capirai la Bibbia soltanto quando ti renderai conto che è un’unica storia, quella di Gesù, presentatoci nei suoi molteplici aspetti da personaggi ed episodi diversi. Nella Genesi, ad esempio, lui appare come Creatore quandoElohim”, parola ebraica al plurale, dichiara: “Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza” (Genesi 1:26).


Lo si vede anche rappresentato in ogni sacrificio di animali, i quali erano fatti morire a causa del peccato dell’uomo, a cominciare da quello che è stato ucciso per coprire con tuniche di pelle la nudità di Adamo ed Eva. Man mano che si procede nella lettura della Bibbia, le figure diventano sempre più nitide, soprattutto quando i profeti iniziano ad annunciare l’avvento di Gesù come uomo.


Nel capitolo 7 del suo libro, scritto settecento anni prima della venuta di Cristo, era già stato rivelato da Isaia che una vergine partorirebbe un figlio. Nel capitolo 9 del medesimo libro, il profeta ci fornisce dettagli su chi sarebbe questa persona: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace” (Isaia 9:5).


Lui è umano e allo stesso tempo divino. Porta il governo sulle sue spalle. Gesù è il “Re di gloria” di questo Salmo. È il “Consigliere ammirabile”, dato che è onnisciente, conoscendo ogni cosa. È “Dio forte”, giacché è onnipotente. È il “Padre dell’eternità”, l’origine di tutto. Infine, è il “Principe della pace”. Gesù è Dio.


L’incarnazione però continuerà ad essere un mistero più grande della nostra capacità di comprendere. Puoi accettarla e goderne i benefici solamente per fede. Nei prossimi 3 minuti torneremo a dedicarci a Gesù nella sua umanità, nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#202 - Il Signore è il mio pastore - Salmo 23

Nel Salmo 23:1 c’è scritto: “Il Signore è il mio pastore: nulla mi mancherà.. Molte persone assaporano ogni sillaba del tratto “nulla mi mancherà”, però trascurano le parole “il Signore è il mio pastore”. L’ultima cosa che la nostra natura peccaminosa vorrebbe è avere il Signore come Pastore.


Naturalmente desideriamo essere pastori di noi stessi, cercando ciò di cui pensiamo di avere bisogno. Tuttavia sarà il Pastore a conoscere le reali necessità delle sue pecore, ed è lui che dovrà decidere quali pascoli sono verdi e quali acque sono calme.


Il Pastore non spinge le sue pecore, ma le conduce dolcemente. Lo fa per sentieri di giustizia, non per quelli illeciti o per oscure scorciatoie. La fraseper amore del suo nome” ci indica che è in gioco la sua reputazione. La sicurezza delle pecore non sta nel sostegno che il Pastore avrà cura di non fargli mancare, però sta nell’essere guidate da colui che ha un nome da custodire.


La pecora ha il capo unto con olio, figura dello Spirito Santo, e la sua coppa trabocca. La Bibbia ci mostra che il vino “rallegra il cuore dell’uomo” (Salmo 104:15), quindi una coppa traboccante ci parla di una gioia più grande di quella che potremmo mai, per così dire, “contenere” in noi stessi. La verga e il bastone del pastore sono strumenti che servono sia a scacciare i lupi, sia a disciplinare, guidare e salvare le sue pecore.


E qui va sottolineato che il cibo, il riposo, la guida e il ristoro sono cose passeggere. Inoltre, nonostante il Pastore prepari una tavola per ogni sua pecora in segno di sostentamento e comunione, tutt’intorno ci sarà la presenza dei nemici. È un ambiente ostile, dove le pecore vivono tra bisogni e pericoli, mentre vengono pascolate da questo grande Pastore.


In tale scenario il maggior nemico è la morte, ma chi ha il Signore come suo Pastore non temerà alcun male quando dovrà camminare nella valle tenebrosa che lo porterà fuori dai pascoli provvisori di questa vita. La pecora parte da questo mondo con la certezza che la bontà e la misericordia la accompagneranno, e che abiterà per sempre nella casa del Signore.


Pertanto abbiamo qui dei campi transitori dove la pecora è pascolata, una valle cupa con una morte che non si teme più, e un futuro brillante ed eterno nella casa del Signore. Sì, la pecora dovrebbe innanzitutto aspirare alla casa del Signore, e non all’erba dei pascoli. E chi sarebbe questa pecora?


Sebbene il Salmo 23 sia spesso usato come un amuleto nelle Bibbie decorative, le sue promesse sono valide soltanto per quelli che accettano il Signore come il proprio Pastore. Se non hai creduto nel Salvatore crocifisso del Salmo 22, e perciò i tuoi peccati non erano su di lui quando è stato abbandonato da Dio sulla croce, il Salmo 23 non fa per te.


Nei prossimi 3 minuti scopriremo la dimensione dell’eredità riservata a coloro che hanno il Signore come Salvatore e Pastore.

Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#201 - Il Pastore è morto - Giovanni 10; Salmo 22

Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni incontriamo Gesù come il “buon Pastore”. La profezia che ci parla di questo carattere del Pastore la troviamo nel Salmo 22, dove lo si vede morire sulla croce per le sue pecore. Per capire meglio quello che ti dirò in seguito, ti suggerisco di leggere integralmente il Salmo 22.


Tale Salmo inizia con un grido disperato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Salmo 22:1). Chi sarà mai costui che è stato abbandonato da Dio, qui descritto come qualcuno di cui tutti si fanno beffe, che soffre il dolore e la sete tra i malfattori mentre ha le mani e i piedi trafitti e le proprie vesti tirate a sorte? E confronta pure questo Salmo con la descrizione della crocifissione nei vangeli e otterrai una visione più ampia di Gesù essendo crocifisso.


Mille anni dopo la stesura del Salmo 22, Gesù ha lanciato lo stesso grido di disperazione e abbandono su una croce. Durante tre ore è stato il bersaglio di tutta l’indignazione dell’essere umano a causa del suo unico crimine: l’essere perfetto. Poiché non potevano sopportare di convivere con qualcuno senza peccato, gli uomini l’avevano abbandonato lì, appeso al legno.


Poi, però, “colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi” (2 Corinzi 5:21), e il mondo è stato avvolto dalle tenebre. Durante queste altre tre ore seguenti Gesù, portando i nostri peccati sul suo corpo, è stato allora il bersaglio di tutta l’indignazione di Dio. Dopo esser stato abbandonato dalle sue creature nelle prime tre ore, adesso tocca a Dio abbandonarlo, proprio perché, al contrario degli uomini, non può sopportare di avere una relazione con qualcuno carico di peccati.


D’altronde nel Salmo 22 il “Crocifisso” ci ricorda che Israele non è mai stato abbandonato da Dio. Questo vale anche per qualsiasi persona. Dio ci dice: “Io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva” (Ezechiele 33:11). Nessun essere umano, per quanto empio, sarà abbandonato da Dio. Fino al suo ultimo respiro Dio sarà al suo fianco, sempre aspettando che si converta dal suo peccato.


Ne è prova il bandito pentito che era stato crocifisso accanto a Gesù. Prima di morire ha ascoltato parole di vita eterna che gli assicuravano l’entrata immediata in paradiso. Tuttavia, in quella medesima scena, Gesù stesso è stato abbandonato da Dio. L’ingiusto ladro poteva essere ricevuto da Dio soltanto se il giusto Gesù morisse abbandonato. Nel libro delle Lamentazioni il profeta Geremia esprime i sentimenti del Messia con queste parole:


Io sono l’uomo che ha visto l’afflizione sotto la verga del suo furore. Egli mi ha guidato e mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Sì, contro di me egli ha volto ripetutamente la sua mano tutto il giorno... Anche quando grido e chiedo aiuto a gran voce, egli rifiuta di ascoltare la mia preghiera.” (Lamentazioni 3:1-8).


Oggi sappiamo che Gesù non è rimasto morto, ma è stato risuscitato. E nello stesso Salmo 22 lui chiama “fratelli” tutti coloro che sono stati salvati da lui, promettendo di stare in mezzo alla congregazione dei suoi “fratelli” lodando Dio insieme a loro. Nei prossimi 3 minuti incontreremo il “grande Pastore” nel Salmo 23, ora risorto e prendendosi cura delle sue pecore.

Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#200 - Il buon Pastore - Giovanni 10:1-2

Il capitolo 10 si apre con l’espressione “in verità, in verità vi dicoper enfatizzare ciò che verrebbe in seguito. Il contesto, specialmente dal versetto 19 in poi, ci mostra che Gesù lo dichiara agli stessi farisei che nel capitolo precedente avevano creato tutta quella polemica sulla guarigione del cieco nato.


I farisei pensavano di essere i veri pastori del popolo, però qui Gesù gli spiega che erano ben lontani dall’avere gli attributi necessari per esserlo. I tre punti importanti di questo capitolo sono: Gesù entra dalla porta; Gesù è la porta; e Gesù è il Pastore delle pecore.


Chi entra dalla porta è colui che si sottomette alle condizioni stabilite dal padrone di casa. Gesù si è presentato in totale sottomissione al Padre, adempiendo ogni passo che era stato predeterminato al Messia promesso. Non ha sfondato la porta come l’avrebbe fatto un ladro o un leader rivoluzionario. No, non è venuto per rubare, uccidere o distruggere. Gesù è l’umile Servo di Filippesi 2:


Cristo Gesù... il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.” (Filippesi 2:5-8).


Forse ti ricorderai cosa è accaduto al battesimo di Gesù. Mentre i giudei erano battezzati da Giovanni Battista per il ravvedimento, anche Gesù, il quale non aveva nessun peccato di cui pentirsi, ha voluto essere battezzato. Oltre a compiere il cammino già stabilito per il Messia, ha potuto così identificarsi con coloro che erano battezzati.


Ma Giovanni gli si opponeva fortemente dicendo: ‘Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?’ E Gesù, rispondendo, gli disse: ‘Lascia fare per ora, perché così ci conviene adempiere ogni giustizia.’ Allora egli lo lasciò fare. (Matteo 3:14-15).


Non dimenticarti che nei vangeli vediamo Gesù nella sua relazione con Israele. La Chiesa verrebbe ad esistere soltanto nel capitolo 2 del libro degli Atti; quindi, il suo gregge qua è Israele, e non la Chiesa. Eppure possiamo anche applicare tutto ciò a quelli che oggi credono in Cristo. E lo stesso si può dire dei diversi aspetti che Gesù assume come Pastore.


In questo capitolo Gesù è il “buon Pastore”, il quale dà la sua vita per le pecore. In Ebrei 13:20 lui è il “grande Pastore”, che è stato risuscitato ed ha compiuto l’opera di redenzione delle sue pecore. Nella prima epistola di Pietro 5, versetto 4, è il “supremo Pastore”, che ritornerà affinché le sue pecore ricevano la corona incorruttibile di gloria.


Ti piacerebbe esaminare questa stessa sequenza nei Salmi? Allora dovresti leggere i Salmi 22, 23 e 24 (nelle edizioni cattoliche della Bibbia la numerazione sarebbe 21, 22 e 23). In questi tre Salmi Gesù appare come il “buon Pastore”, il “grande Pastore” e il “supremo Pastore”, cioè colui che è morto, vive e tornerà.


Nei prossimi 3 minuti faremo un giro tra tali Salmi per seguire questa traiettoria del Pastore.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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