#113 - Getsemani - Matteo 26:36-46

Dopo aver cenato, Gesù si reca con i suoi discepoli in un giardino, ma il nome di quel luogo non è per niente piacevole. Getsemani significa “frantoio”, e lì Gesù sarebbe stato davvero schiacciato dall’angoscia, pensando a ciò che lo attendeva sulla croce. Nel frattempo i discepoli si addormentano, ignari della gravità della situazione.

Non erano le frustate dei soldati, la corona di spine o i chiodi a riempire di terrore il cuore di Gesù. Molte persone hanno già subito torture maggiori e più a lungo di lui. La sua apprensione era dovuta a quello che sarebbe avvenuto dopo le violenze inflittegli dagli uomini. Agonizzava solo al pensiero del castigo che avrebbe ricevuto da Dio, quando lui fosse stato fatto peccato al nostro posto.

Settecento anni prima Isaia aveva già predetto il vero motivo della croce: “Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione.” (Isaia 53:5). Gesù, perfetto Dio e perfetto uomo, che non ha mai peccato e che non avrebbe mai potuto peccare perché non aveva la stessa natura peccaminosa che noi abbiamo ereditato da Adamo, sarebbe stato fatto peccato sulla croce.

Non si può neanche immaginare quanto lui abbia sofferto sulla croce sotto il castigo divino, poiché se ci fosse una formula per calcolarlo, essa dovrebbe includere la somma del castigo eterno di tutti quelli che sono stati salvati da lui. Un’eternità di giudizio concentrata in tre ore. Non è stato nel Getsemani che Gesù ha sofferto per i nostri peccati, e nemmeno nelle sue prime ore sulla croce, ma nel momento in cui Dio gli ha nascosto il volto (Salmi 69:17), e l’ha abbandonato sulla croce, cioè in quelle tre ore di tenebre che hanno coperto tutta la terra.

Nel Getsemani, pensando a tutto ciò, per tre volte Gesù fa la stessa preghiera: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi.” (Matteo 26:39). Alcuni potrebbero pensare che Gesù stesse esitando, oppure dubitando se dovesse proprio andare avanti. Una frase nel Vangelo di Giovanni, però, elimina qualsiasi dubbio sulla sua disponibilità a compiere la sua missione, perché afferma: “Ora è turbata l’anima mia; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!” (Giovanni 12:27-28).

Credo che in quella triplice domanda, “se è possibile, passi oltre da me questo calice”, ci sia un messaggio per noi, principalmente nella risposta del Padre. Sì, il Padre gli ha risposto col silenzio, il quale ancora oggi echeggia per tutto l’Universo, rendendoci chiaro che non era possibile allontanare da lui quel calice. Gesù lo beve fino alla fine per risolvere una volta per tutte la questione del peccato, affinché ci sia salvezza per noi. Se oggi gli facessimo una domanda simile come, ad esempio, “Padre, se possibile, salvami in un altro qualsiasi modo, tranne che con la morte di Gesù sulla croce”, la risposta di Dio sarebbe ancora un’altra volta il silenzio, perché non è possibile.

Nei prossimi 3 minuti Gesù sarà arrestato.

Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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