#156 - L’autore del sabato - Giovanni 5:17-18

Nel guarire un uomo di sabato Gesù desta l’ira dei giudei religiosi. La legge data da Dio a Mosè ordinava che nessun lavoro fosse svolto il sabato e che i trasgressori dovrebbero essere puniti con la morte mediante lapidazione. Questi giudei, che adesso desiderano uccidere Gesù, non si rendono conto di due cose.


Innanzitutto non capiscono che la legge del sabato era stata data a beneficio dell’uomo. Dio voleva che il suo popolo si riposasse, e proprio per questo qualsiasi tipo di lavoro era proibito; ma le attività che avevano l’obiettivo di salvare una vita o di guarire un malato non erano considerate un lavoro, anzi erano atti di misericordia.


In un’occasione, come leggiamo in Matteo 12:11, Gesù ha fatto l’esempio della pecora che qualunque giudeo era pronto a soccorrere se fosse caduta in una fossa in giorno di sabato. Quegli stessi giudei, che avevano così tanta cura delle loro pecore, qui restano indifferenti di fronte alla guarigione operata da Gesù su un uomo il quale da trentotto anni si trovava imprigionato nella fossa della sua infermità.


La seconda cosa che i giudei non riescono a comprendere è che chi ha guarito quest’uomo di sabato, è lo stesso Dio il quale in passato ha dato la Legge a Israele. “Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui” (Giovanni 1:3), ed è anche stato lui che poi si è riposato “il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatto” (Genesi 2:2). Tuttavia per Dio quello sarebbe stato il suo ultimo riposo, poiché subito dopo Adamo ed Eva cadono in peccato, e fin da allora l’umanità ha solo dato molto da fare al suo Creatore.


Il Padre mio opera fino ad ora, ed anch’io opero” (Giovanni 5:17), è quanto Gesù risponde ai giudei religiosi che lo criticano per aver guarito l’uomo in giorno di sabato. Il dettaglio è che, così dicendo, Gesù si rende colpevole, ai loro occhi, di qualcosa di ancora più grave della trasgressione del sabato. Sì, perché avrebbe bisogno d’essere eterno per poter, pure lui, lavorare fino ad ora come fa il Padre; e chiamando Dio “Padre”, sta affermando di essere uguale a Dio.


Chiamare Dio “Padreera impensabile per un giudeo. Nell’Antico Testamento ci sono alcuni passaggi che chiamano Dio “padre” degli esseri umani, come in Malachia 2:10, però nessuno di loro nel senso di filiazione. Appaiono nel senso di Creatore, oppure di colui che bada alla sua creazione, eppure mai nel senso di qualcuno che trasmette il suo DNA o la propria natura a un figlio generato da lui.


La rivelazione che Gesù fa ai giudei ci mostra che c’è un legame intimo e indissolubile tra lui e il Padre, e “per questo i giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma addirittura chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.” (Giovanni 5:18).


Nei prossimi 3 minuti Gesù ci presenterà maggiori particolari su questo legame e sulla sua divinità.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#155 - Dopo la guarigione - Giovanni 5:10-16

Dopo aver guarito l’uomo che da trentotto anni si trovava infermo, Gesù gli dice di prendere il suo lettuccio, sul quale giaceva, e di uscire da lì camminando. Quando i giudei religiosi vedono che quest’uomo se lo portava via, lo rimproverano fortemente. Vogliono sapere perché ha trasgredito il comandamento del sabato, che vietava di trasportare qualsiasi cosa o di fare qualsiasi lavoro in questo giorno.


E costui gli risponde che lo stesso uomo che lo aveva guarito, gli aveva detto che poteva andarsene, portandosi il lettuccio. Lui non sapeva chi fosse quell’uomo, ma poi rivede Gesù nel tempio. Beh, questo ha senso. Quando ci ricordiamo che l’obiettivo di Dio nel salvare qualcuno è renderlo un adoratore, il fatto che quest’uomo, già guarito, si sia recato al tempio, era una chiara testimonianza della sua effettiva trasformazione.


Nel capitolo 9 del libro degli Atti, il Signore ordina ad Anania di andare ad incontrarsi con Saulo, l’implacabile persecutore dei cristiani che si era appena convertito a Cristo. Per identificarlo, Gesù dice ad Anania: “Alzati e recati nella strada detta Diritta, e cerca in casa di Giuda un uomo di Tarso di nome Saulo, che sta pregando” (Atti 9:11). La preghiera era una caratteristica della sua conversione.


La prima reazione di chi si converte a Cristo è cercare Dio in preghiera, ringraziamenti e adorazione, perché Dio ci ha creati per avere comunione con lui. E la vera conversione ha anche altri risultati: amiamo la sua Parola, vogliamo fare la sua opera e siamo avversi al peccato. Tuttavia tutte queste cose sono solo i vagoni che accompagnano la locomotiva di una salvezza già compiuta. Quell’uomo non era andato al tempio per essere guarito. Ci era andato perché era già stato guarito.


Ovviamente insieme ai benefici vengono le responsabilità, perciò Gesù dice all’uomo: “Ecco, tu sei stato guarito; non peccare più affinché non ti avvenga di peggio. (Giovanni 5:14). Non afferma esattamente cosa potrebbe essere questo qualcosa “di peggio”, però mette in evidenza due cose. Innanzitutto che lo standard di santità stabilito da Dio è sempre assoluto. Non gli dice “cerca di non peccare” o “non peccare molto”, ma semplicemente “non peccare più”. In secondo luogo, che il peccato sempre porta con delle brutte conseguenze.


Sebbene un vero credente non possa perdere la sua salvezza, potrà perdere la comunione, l’allegria, la salute e perfino la propria vita come conseguenza del peccato. Dio è un Padre che disciplina ogni figlio disubbidiente. Nonostante tali riprensioni ci sembrino severe, se fossero valutate in una prospettiva eterna, farebbero meno male di qualsiasi ciabattata ricevuta da piccoli. E puoi scommetterci che “ogni correzione (di Dio) infatti, sul momento, non sembra essere motivo di gioia, ma di tristezza” (Ebrei 12:11).


Più tardi, l'uomo che era stato guarito, rivela ai religiosi giudei che il nome del suo guaritore è Gesù. Allora vanno da Gesù per protestare, perché guariva di sabato; e quello che Gesù gli risponde va oltre l’immaginazione di qualunque giudeo. Lo scoprirai nei prossimi 3 minuti.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#154 - Guardando dalla parte sbagliata - Giovanni 5:1-9

Ora Gesù va a Gerusalemme e visita una vasca chiamata Betesda, intorno alla quale c’è una gran folla di malati. Queste persone erano lì in attesa di vedere un movimento dell’acqua fatto da un angelo, e “il primo che vi entrava, dopo che l’acqua era agitata, era guarito da qualsiasi malattia fosse affetto.” (Giovanni 5:4).


Sebbene alcuni manoscritti non riportino il versetto 4, che ci parla di quest’angelo, il fatto raccontato è perfettamente in linea con la dispensazione vigente per Israele, quando gli angeli facevano l’intermediazione tra Dio e gli uomini. Ed è stato attraverso gli angeli che la Legge è stata data a Mosè, la quale richiedeva che l’uomo fosse tenuto a fare qualcosa da se stesso casomai volesse essere benedetto, come ad esempio, appunto, l’essere capace di vedere quando l’acqua si agitasse e così tuffarsi nella vasca.


Con così tanti ciechi, zoppi e paralitici lì sdraiati, è difficile immaginare come qualcuno potesse riuscire a entrare in tempo nella vasca per poter sfruttare l’effetto guaritore del movimento di quell’acqua. D’altronde, i ciechi non potevano nemmeno vedere l’acqua che si muoveva, e gli zoppi e i paralitici non erano abbastanza agili da poter compiere queste azioni. Dal punto di vista spirituale, tutte quelle persone si trovavano nella stessa condizione: erano incapaci di fare qualcosa per salvarsi.


Ed è questo anche lo scenario attuale: c’è un mucchio di gente in attesa di un segnale visibile per poi eseguire un qualche tipo di azione e così liberarsi dei propri problemi. Quello di cui le persone non si rendono conto è che i problemi sono solo la conseguenza di un problema maggiore: la nostra condizione di peccatori perduti. Forse alcuni lì avrebbero addirittura preferito solo provare a vedere l’angelo prima che l’acqua si muovesse; e pure oggigiorno non mancano persone che preferiscono occuparsi di angeli.


Il vero problema di questi infermi è che stanno guardando nella direzione sbagliata, sperando che la loro salvezza provenga da qualche angelo, da un segno visibile, o dai propri sforzi. L’unico, però, che può salvarli è lì proprio in mezzo a loro, ma purtroppo nessuno volge lo sguardo verso di lui. Così è ogni essere umano. Nella lettera ai Romani 3:11 c’è scritto che “non c’è nessuno che cerchi Dio”, nemmeno uno.


Perciò l’iniziativa parte da Gesù, che non solo riesce a vedere che quest’uomo è malato, ma sa benissimo che è in questo stato da trentotto anni. Gli chiede allora se vuole essere guarito, tuttavia il povero uomo è così preoccupato dei suoi limiti che spiega a Gesù che non ha nessuno che lo metta nella vasca quando l’acqua si muove. Ma chi ha mai parlato di vasche?


Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina” (Giovanni 5:8), gli dice Gesù. Il risultato è lo stesso di ogni altra volta in cui la parola del Signore è bastata affinché i ciechi vedessero, i muti parlassero e i morti resuscitassero.


Se desideri essere guarito dai tuoi peccati e avere la vita eterna, perché continui a guardare te stesso o chiunque altro oltre a Gesù? Non sto parlando di una religione ma di una persona. La religione vuole che tu rimanga attaccato al lettuccio delle incertezze, poiché di questo vive. Infatti, sai da dove verrà il primo rimprovero ricevuto da quest’uomo dopo esser stato guarito? Sì, dalla religione. Questo è quanto vedremo nei prossimi 3 minuti.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

#153 - Spazio e tempo - Giovanni 4:46-54

Gesù torna a Canaan, il luogo dove aveva trasformato l’acqua in vino, ma questa volta il clima non è di festa. Lì trova un padre afflitto, il cui figlio è sull’orlo della morte nella città di Cafarnao, a 38 chilometri di distanza. L’uomo, un ufficiale del re, insiste perché Gesù vada a Cafarnao prima che il bambino muoia.


Allora Gesù fa il seguente commento: “Se non vedete segni e miracoli, voi non credete.” (Giovanni 4:48). All’inizio è con una fede di seconda categoria che quest’uomo va da Gesù, cioè con la stessa fede di Tommaso che ha bisogno di vedere per credere. Ma Gesù guarisce sia il figlio dell’ufficiale sia la sua fede. “Va’, tuo figlio vive” (Giovanni 4:50), dice all’uomo, che crede subito alle sue parole.


Il giorno dopo, mentre quest’ufficiale arrivava a Cafarnao, i suoi servi gli vanno incontro per avvisarlo che suo figlio era già guarito. E scoprirà che ciò era accaduto esattamente all’una del pomeriggio del giorno precedente, ossia la stessa ora in cui Gesù gli aveva detto che suo figlio era guarito. Però, cosa avrà fatto quest’uomo dall’una del pomeriggio del giorno prima fino al giorno seguente, quando poi è tornato a Cafarnao?


Se ci fosse andato a piedi, sarebbe arrivato a casa prima delle nove di sera di quello stesso giorno. Dato che era un nobile, avrebbe potuto ottenere una cavalcatura o una carrozza e sarebbe riuscito a tornare a Cafarnao addirittura nel pomeriggio. E siccome non aveva un cellulare per chiamare, e poter così scoprire se suo figlio fosse stato davvero guarito, ci può essere soltanto una spiegazione possibile legata alla sua mancanza di fretta: la sua fede.


Quando ha trasferito il problema di suo figlio a Gesù, non c’era più motivo di preoccuparsi. Per fede quest’uomo sapeva che non era necessario che Gesù stesse accanto al bambino per guarirlo, giacché per Dio lo spazio e il tempo non sono un problema. Gesù non ha bisogno di essere soggetto alle leggi della fisica che reggono l’universo che lui stesso ha creato e che sostiene “con la parola della sua potenza” (Ebrei 1:3). Alcuni giorni prima un altro uomo, Nicodemo, aveva potuto scoprire che Gesù non solo aveva il libero transito tra il cielo e la terra, ma che mentre gli parlava qui, sulla terra, il “Figlio dell’uomoera anche in cielo (Giovanni 3:13).


La vera fede non è limitata ai sensi perché penetra nella sfera in cui Dio agisce, cioè in una dimensione molto al di là di quella che potremmo percepire. Quello che vedi, ascolti o senti potrebbe non esistere più, poiché il tuo cervello ci mette almeno una frazione di secondo per ricevere ed elaborare tali informazioni.


In termini cosmici tutto ciò è ancora più chiaro. Il sole che vedi adesso, ad esempio, potrebbe aver cessato di esistere otto minuti e diciotto secondi fa, essendo questo il tempo impiegato dalla sua luce per percorrere i 150 milioni di chilometri che lo separano dalla terra. Oppure se guarderai la stella più vicina, dopo il sole, la vedrai come appariva quattro anni fa e non com’è ora. E in questo esatto momento questa stessa stella non è più nemmeno nello stesso posto, in cielo, dove avrai prima puntato il tuo telescopio. Così, pensi ancora che abbia senso credere a quello che vedi? Nei prossimi 3 minuti conosceremo un uomo che i miracoli li poteva vedere, tuttavia senza mai riuscire ad avere quanto desiderava.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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