#278 - Un prigioniero perfetto - Giovanni 18:17-27

Un grande inganno diffuso addirittura tra i cristiani è che la salvezza possa essere ottenuta dall’imitazione di Cristo. Evidentemente il credente, che ha già avuto i suoi peccati perdonati mediante la fede in Gesù, grazie alla sua morte sulla croce, avrà in lui l’esempio di un uomo perfetto, dovendo senz’altro imitarlo. Questo, però, succederà soltanto dopo essere nato di nuovo ed avere la certezza della sua salvezza.


Paolo, nella sua lettera agli Efesini, li incoraggia ad essere “imitatori di Dio, come figli amati (Efesini 5:1), e poi continua, parlando delle virtù che devono accompagnare la vita cristiana. Ed ecco come esorta i cristiani in 1 Corinzi: “Siate miei imitatori, come anch'io lo sono di Cristo (1 Corinzi 11:1). Sì, l’apostolo li invita a seguire il suo stesso esempio, indicandoci che è salutare prendere a modello coloro che camminano nella fede in Gesù. Ma ciò è solo un complemento alla vita cristiana, e non il mezzo con cui si riceve la salvezza, la quale può essere conseguita unicamente attraverso la fede in Cristo.


Se cerchi di imitarlo per riuscire ad avere la salvezza, dovrai iniziare dall’essere senza peccato, perché il Salvatore è venuto al mondo senza peccato. Il problema è che tu ed io siamo già nati con una natura corrotta, che ci ha resi peccatori fin dal nostro concepimento. Perciò è impossibile che tu diventi puro e senza peccato tramite l’imitazione. Ossia: per quanto un cane voglia somigliare a un gatto, il massimo che potrà fare sarà abbaiare “miao”. Comunque rimarrà sempre un cane nella sua essenza, per natura.


Adesso confronta questo giudizio di Gesù con quello di Paolo in Atti degli Apostoli. Qui il Signore viene schiaffeggiato da una delle guardie del sommo sacerdote, che subito afferma: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. Ma Gesù gli replica: “Se ho parlato male, mostra dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti? (Giovanni 18:22-23). La sua risposta è perfetta e smonta tutti gli argomenti dei suoi giudici.


Paolo in una situazione simile, però guidato dalla propria carne e non dallo Spirito, reagisce anche lui, dichiarando: “Dio percuoterà te, muro imbiancato. Tu siedi per giudicarmi secondo la legge e, violando la legge, ordini che io sia percosso?” E gli fanno la stessa domanda: “Insulti tu il sommo sacerdote di Dio?”. Tuttavia, nel suo caso, sarà costretto a ritrattarsi: “Non sapevo, fratelli, che egli fosse sommo sacerdote, perché sta scritto: “Tu non dirai male del principe del tuo popolo. (Atti 23:2-5).


Gesù, Dio e uomo perfetto, non ha mai avuto bisogno di ritrattarsi poiché in nessun momento è stato mosso da un’altra natura diversa dalla sua, divina e perfetta. Paolo, anche se nato di nuovo e possedendo la nuova natura e lo Spirito Santo che dimorava in lui, era stato obbligato a scusarsi giacché aveva lasciato che la sua carne prendesse il controllo della situazione. Così siamo noi, nei nostri atteggiamenti e nelle nostre parole, quando paragonati al Signore.


Nei prossimi 3 minuti Gesù viene mandato da Pilato, affinché sia giudicato dal potere civile.


Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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