Poiché appartiene alla specie umana, il cieco del capitolo 9 del Vangelo di Giovanni
è un peccatore, quindi soggetto alle imperfezioni causate dal peccato. Ma perché
uno nasce cieco e un altro invece no? Pensando che la
sua disabilità fosse il risultato diretto
di qualche suo peccato, o dei suoi genitori, la domanda dei discepoli ci
suggerisce due possibilità.
La
prima sarebbe che il cieco avesse peccato
prima di nascere, però quest’idea di qualcuno che vive, muore e
si reincarna per liberarsi dal peccato è chiaramente scartata nella Bibbia. Infatti, nella lettera agli Ebrei
si legge che “è stabilito che gli uomini muoiano una
volta sola, dopo di che viene il giudizio”
(Ebrei 9:27).
L’altra possibilità segnalata dai discepoli ci porterebbe a considerare che la
sua cecità fosse un castigo ricevuto a
causa di qualche peccato compiuto dai suoi genitori.
Così, in entrambi i casi, o quest’uomo sarebbe direttamente responsabile
del suo difetto che, in realtà, non avrebbe mai potuto causare a se
stesso, oppure terze persone sarebbero responsabili
della sua sofferenza, sempre come conseguenza di un peccato commesso da loro.
Gesù risolve questo
enigma affermando che “né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma ciò è accaduto, affinché siano manifestate
in lui le opere di Dio.”
(Giovanni 9:3). Ne aveva di peccati il cieco? Sì! E i suoi genitori? Sì, anche
loro, come qualsiasi essere umano. In questo caso, però, la
sua disabilità non era il risultato di un peccato in particolare, né suo, né dei suoi genitori.
Quando Dio permette che una persona nasca così, ha in
vista qualcosa di più grande: la manifestazione dell’opera e della potenza di Dio.
Siamo tutti ciechi
quando si tratta di capire le ragioni di Dio,
per questo ci indigniamo ogni volta che ci accade qualcosa di brutto. Nella
prima lettera ai Corinzi c’è scritto: “Quando
ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma
quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché
ora vediamo come in uno specchio, in
modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia;
ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche
sono stato perfettamente conosciuto.”
(1 Corinzi 13:11-12).
Da bambino non capivo come i miei genitori potessero amarmi
quando venivo sgridato o castigato da
loro. Quale tipo di amore
materno era poi quello che
mi obbligava a ingoiare quotidianamente un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo? E perché mai mio
padre mi teneva stretto e non
mi aiutava a scappare mentre il farmacista
mi colpiva con una siringa? Per
quanto mi spiegassero i motivi, a quell’età non riuscivo a comprendere.
Me ne rendo conto solo oggi.
Insomma, la nostra difficoltà non è ammettere che esista un
motivo per la sofferenza. Il
problema è che non capiamo o semplicemente
non vogliamo accettare le ragioni di Dio. Nella lettera ai Filippesi,
dopo aver affermato di aver imparato ad accontentarsi in qualsiasi
circostanza, l’apostolo Paolo conclude: “Io
posso ogni cosa in colui che mi fortifica.”
(Filippesi 4:13). In Cristo, anche tu ed io possiamo tutto...
incluso il fatto di accettare che Dio abbia ragione.
Nei
prossimi 3 minuti gli occhi del cieco si riempiranno di fango.
Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)