#112 - L’ultima cena - Matteo 26:17-30

Il punto alto dell’adorazione cristiana non è nessun tipo di spettacolo gospel con tanto di luci, fuochi d’artificio e alti decibel, ma una celebrazione tanto semplice e discreta quanto lo è stato il modo di vivere di Gesù. Nel capitolo 26 di Matteo lui istituisce la cena perché ci si ricordi della sua morte. Giuda se ne esce prima, il che rende questa cena una celebrazione riservata a coloro che sono in comunione con Gesù.

La cena del Signore è stata così tanto deturpata che oggi persino organizzazioni occultiste, come la massoneria e la gnosi, ne celebrano una sorta di caricatura. Anche tra i veri cristiani il suo significato è stato distorto. Il testo è chiaro: Gesù rende grazie, rompe il pane e lo dà ai suoi discepoli, dicendo: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo” (Matteo 26:26). Poi, preso un calice di vino, rende grazie e lo dà ai suoi discepoli, perché tutti lo bevano, dicendo: “Questo è il mio sangue” (Matteo 26:28).

Parlava di simboli e non letteralmente del suo corpo, che continuava lì, accanto ai discepoli, e non sul tavolo. Il suo sangue non era stato ancora versato ed era ancora nel suo corpo, e non come rappresentato dal pane e dal vino, separati l’uno dall’altro. Lui ha anche fatto delle altre affermazioni simboliche come, ad esempio, “io sono la porta... la vite... la via... ”, e nessun sano di mente penserebbe mai che Gesù stesse parlando di una sorta di transustanziazione che lo avrebbe davvero reso una porta, un albero o una strada. Pietro, oltre a Paolo, in una delle sue epistole ha anche detto che lui è la roccia (I Pietro 2:8; I Corinzi 10:4).

La cena nei vangeli aveva un carattere diverso da quella che è stata rivelata a Paolo, in I Corinzi 11, affinché fosse celebrata dai cristiani. La prima indicava una morte che doveva ancora avvenire. La cena che celebriamo oggi è il ricordo di una morte già accaduta. In entrambe Gesù è vivo al momento della celebrazione: nella prima, perché non era ancora morto sulla croce, e adesso perché è già risuscitato. La cena, quindi, non ha il carattere di una veglia funebre con un corpo presente, come la pensano alcune persone, e non è nemmeno la ripetizione del sacrificio di Cristo, com’è considerata da molti. Si tratta unicamente di un memoriale, di un ricordo o di un ritratto del sacrificio di Gesù.

In I Pietro, capitolo 3, leggiamo che “Cristo ha sofferto una volta per i peccati” (I Pietro 3:18). Ed Ebrei 9 ci dice che lui “non è entrato in un santuario fatto con mano... e non per offrir se stesso più volte... ma ora, una volta sola, alla fine dei secoli, è stato manifestato, per annullare il peccato col suo sacrificio... così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta... ” (Ebrei 9:24-28).

Questi versetti dovrebbero essere sufficienti per chi crede nella Parola di Dio. Il pane e il vino continuano a essere pane e vino, e non hanno nessun potere, come se fossero una specie di pozione magica. È sbagliato cercare di trasformare le cose materiali in oggetti di culto, come fanno i pagani. Attribuire simili fantasie alla cena significa perdere di vista il suo vero significato, che è quello di ricordare il sacrificio di Gesù sulla croce, e non lì sul tavolo.

E ora ci sarà un importante consiglio. I discepoli gli chiedono: “Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua?” (Matteo 26:17), e ricevono istruzioni ben dettagliate, poiché Gesù sarebbe andato a trovarli soltanto in quel luogo, e in nessun altro. Se avessero scelto un posto a loro piacimento, non si sarebbero ritrovati insieme. Prima di decidere dove dovresti ricordare il Signore nella sua morte, chiediglielo. Quella sera c’era solo un posto.

Nei prossimi 3 minuti il Getsemani sarà all’altezza del suo nome.

Mario Persona - (Tradotto da Cristina Fioretti)

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